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Il Colosseo
Il Colosseo, originariamente conosciuto come Anfiteatro Flavio o semplicemente come Amphitheatrum, è un anfiteatro della Roma antica, con tutta probabilità il più famoso al mondo; era in grado di contenere 45.000 spettatori e veniva usato per gli spettacoli gladiatori.
L'edificio forma un'ellisse di 527 m di circonferenza, con assi che misurano 188 m x 156 m. L'arena all'interno misura 86 m per 54 m, con una superficie di 3.357 m². L'altezza attuale raggiunge i 48,5 m, ma originariamente arrivava ai 52 m.
La facciata esterna si articola in quattro ordini: i tre inferiori con 80 arcate su pilastri, ai quali si addossano semicolonne su piedistalli, mentre il quarto è costituito da una parete piena, scompartita da lesene in corrispondenza dei pilastri delle arcate. Nei tratti di parete tra le lesene si aprono 40 piccole finestre quadrangolari, una ogni due riquadri, e immediatamente sopra il livello delle finestre vi sono collocate tre mensole sporgenti per ogni riquadro, nelle quali erano alloggiati i pali di legno che venivano utilizzati per aprire e chiudere il velarium, il telo di copertura che riparava gli spettatori, manovrato da un distaccamento di marinai della flotta di Miseno.
Le semicolonne e le lesene dei quattro ordini hanno a partire dal basso capitelli tuscanici, ionici, corinzi e corinzi a foglie lisce. I primi tre ordini ripetono la medesima successione visibile sulla facciata esterna del teatro di Marcello.
Il Colosseo era circondato da un'area di rispetto pavimentata in travertino e delimitata da cippi (alcuni ancora al loro posto sul lato verso il Celio).
All'interno la cavea con i gradini per i posti degli spettatori era suddivisa in cinque settori orizzontali (maeniana), riservati a categorie diverse di pubblico, il cui grado decresceva con l'aumentare dell'altezza: il settore inferiore, riservato ai senatori e alle loro famiglie, aveva gradini ampi e bassi che ospitavano seggi di legno (subsellia); seguivano il maenianum primum, con otto gradini di marmo, il maenianum secundum, suddiviso in imum (inferiore) e summum (superiore), ancora con gradini in marmo, e infine il maenianum summum, con circa undici gradini lignei all'interno del portico che coronava la cavea (porticus in summa cavea): i resti architettonici di quest'ultimo appartengono ai rifacimenti di epoca severiana o di Gordiano II. Un settore di posti nella parte più alta, considerato il peggiore, era riservato alle donne, alle quali, da Augusto in poi, fu sempre vietato di mescolarsi ad altri spettatori.
I diversi settori erano separati da alti podi (precinctio), nei quali si aprivano le porte di accesso (vomitoria), protetti da transenne in marmo (risalenti ai restauri del II secolo d.C.). Sui gradini sono spesso incise le indicazioni dei posti e sulla balaustra del podio venivano iscritti i nomi dei senatori a cui i posti inferiori erano riservati.
Gli spettatori raggiungevano il loro posto entrando dalle arcate loro riservate. Ciascuna delle 74 arcate per il pubblico era contraddistinta da un numerale, inciso sulla chiave di volta, per consentire agli spettatori di raggiungere rapidamente il proprio posto.
Le due arcate in corrispondenza degli assi minori, precedute esternamente da un avancorpo, erano riservate agli alti personaggi ospitati nei due palchi oggi scomparsi. Immettono ciascuna in un ampio settore comprendente tre cunei, scompartito da pilastri. Il percorso aveva le pareti rivestite in marmo e presentava una decorazione a stucco sulla volta, ancora quella originale di epoca flavia. Il palco meridionale, che ospitava l'imperatore, aveva anche un altro accesso più diretto, attraverso un criptoportico che dava direttamente all'esterno.
Dodici arcate erano riservate ai Senatori e immettevano in corridoi che raggiungevano l'anello più interno: da qui con una breve scala si raggiungeva ill settore inferiore della cavea. Anche questi passaggi erano rivestiti di marmo.
Le altre arcate davano accesso alle numerose scale a una o due rampe che portavano ai settori superiori. Le pareti erano qui rivestite di intonaco, anche sulle volte.
L'arena presentava una pavimentazione parte in muratura e parte in legno, e veniva ricoperta da sabbia, costantemente pulita, per assorbire il sangue delle uccisioni.
Sotto l'arena erano stati realizzati ambienti di servizio, articolati in un ampio passaggio centrale lungo l'asse maggiore e in dodici corridoi curvilinei, disposti simmetricamente sui due lati. Qui si trovavano i montacarichi che permettevano di far salire nell'arena i macchinari o gli animali impiegati nei giochi e che, in numero di 80, si distribuivano su quattro dei corridoi: i resti attualmente conservati si riferiscono ad un rifacimento di III o IV secolo d.C..
Le strutture di servizio erano fornite di ingressi separati:
Gallerie sotterranee all'estremità dell'asse principale davano accesso al passaggio centrale sotto l'arena, ed erano utilizzate per l'ingresso di animali e macchinari.
Le due arcate sull'asse maggiore davano direttamente nell'arena ed erano destinate all'ingresso dei protagonisti dei giochi, gladiatori ed animali troppo pesanti per essere sollevati dai sotterranei.
L'arena era accessibile per gli inservienti anche da passaggi aperti nella galleria di servizio che le correva intorno sotto il podio del settore inferiore della cavea. Alla galleria si arrivava dall'anello più interno, lo stesso che utilizzavano i Senatori per raggiungere i propri posti.
L'edificio poggia su una piattaforma in travertino sopraelevata rispetto all'area circostante. Le fondazioni sono costituite da una grande platea in cementizio di circa 13 m di spessore, foderata all'esterno da un muro in laterizio.
La struttura portante è costituita da pilastri in blocchi di travertino, collegati da perni: dopo l'abbandono dell'edificio si cercarono questi elementi metallici per fonderli e riutilizzarli, scavando i blocchi in corrispondenza dei giunti: a questa attività si devono i numerosi fori ben visibili sulla facciata esterna. I pilastri erano collegati da setti murari in blocchi di tufo nell'ordine inferiore e in laterizio superiormente.
Un complesso sistema di adduzione e smaltimento idrico consentiva la manutenzione dell'edificio e alimentava le fontane poste nella cavea per gli spettatori.
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Domus Aurea
La Domus Aurea ("Casa Dorata" in latino) era un grande palazzo costruito dall'imperatore romano Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel 64 d.C. Costruita (in mattoni, non in marmo come talvolta si immagina), nei pochi anni tra l'incendio e il suicidio di Nerone nel 69 d.C., gli estesi rivestimenti in oro che le diedero il suo nome non erano gli unici elementi stravaganti dell'arredamento: vi erano soffitti stuccati incrostati di pietre semi-preziose e lamine d'avorio. Plinio il Vecchio assistette alla sua costruzione (La Storia Naturale xxxvi. 111).
La residenza dell'imperatore giunse a comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e parte del Celio, per un estensione di circa 2,5 km quadrati. La maggior parte della superficie era occupata da giardini, con padiglioni per feste o di soggiorno. Al centro dei giardini, che comprendevano boschi e vigne, nella piccola valle tra i tre colli, esisteva un laghetto, in parte artificiale, sul sito del quale sorse più tardi il Colosseo. Nerone commissionò anche una colossale statua in bronzo di 37 metri raffigurante sé stesso, vestito colll'abito del dio-sole romano Apollo, il Colossus Neronis, che fu posto di fronte all'entrata principale del palazzo sul Palatino. Il colosso fu successivamente riadattato colle teste di vari successivi imperatori, prima che Adriano lo spostasse per far posto al tempio di Venere e Roma e l'Anfiteatro Flavio prese quindi il nome di Colosseo nel Medio Evo, proprio da questa statua. La vera residenza di Nerone rimase comunque nei palazzi imperiali del Palatino.
La parte conservata al di sotto delle successive terme di Traiano sul colle Oppio era essenzialmente una villa per feste, con 300 stanze e non una camera da letto e neppure sono state scoperte cucine o latrine. Le camere rivestite di marmo finemente levigato componevano intricate planimetrie, composte di nicchie ed esedre che concentravano o disperdevano la luce del sole. V'erano piscine sui vari piani, e fontane nei corridoi. Nerone s'interessò in ogni dettaglio del progetto, secondo gli Annali di Tacito, e supervisionava direttamente gli architetti Celere e Severo.
Alcune delle stravaganze della Domus Aurea ebbero ripercussioni sul futuro. Gli architetti disegnarono due delle sale da pranzo principali in modo che fiancheggiassero un cortile ottagonale, sormontato da una cupola con un gigantesco abbaino centrale che lasciava entrare la luce del giorno. Fu questo, probabilmente uno dei modelli da cui trasse ispirazione la celeberrima cupola del Pantheon: si tratta in effetti di un esempio precoce dell'utilizzo della tecnica del cementizio, ch'era stata elaborata dai romani a partire dal II secolo AC per lo sviluppo d'ampî e articolati spazî interni, tipico dell'architettura romana. Un'altra innovazione era destinata ad avere una grande influenza sull'arte futura: Nerone pose i mosaici, precedentemente riservati ai pavimenti, sui soffitti a volta. Ne sopravvivono soltanto dei frammenti, ma questa tecnica sarebbe stata imitata costantemente, per diventare un elemento fondamentale dell'arte cristiana: i mosaici che decorano innumerevoli chiese a Roma, Ravenna, Costantinopoli e in Sicilia.
Si tramanda che gli architetti Celere e Severo avessero creato anche un ingegnoso meccanismo, mosso da schiavi, che faceva ruotare il soffitto della cupola come i cieli dell'astronomia antica, mentre veniva spruzzato profumo e petali di rosa cadevano sui partecipanti al banchetto, petali in tali quantità che uno sfortunato ospite ne fu asfissiato.
"Nerone tenne le feste migliori di tutti i tempi," spiegò l'archeologo Wallace-Hadrill ad un giornalista alla riapertura della Domus Aurea nel 1999, dopo anni di chiusura per restauri. "Trecento anni dopo la sua morte, durante gli spettacoli pubblici, venivano ancora distribuiti gettoni con la sua effige — un 'souvenir' del più grande showman di tutti." Nerone, ossesso dal suo status d'artista, certamente guardava alle sue feste come opere d'arte.
Gli affreschi ricoprivano ogni superficie che non fosse ancor più rifinita. L'artista principale era Fabullo, l'unico pittore dell'antichità di cui possiamo effettivamente identificare le opere. La tecnica dell'affresco, applicata al gesso fresco, richiede un tocco veloce e sicuro: Fabullo e i suoi collaboratori ricoprirono una percentuale impressionante dell'area. Plinio, nella sua Storia Naturale, racconta come Fabullo si recasse solo per poche ore al giorno alla Domus, per lavorare solo quando la luce era adatta. La rapidità dell'esecuzione di Fabullo dona un'unità straordinaria alla sua composizione, e una delicatezza sorprendente alla sua esecuzione.
Dopo la morte di Nerone, il terreno della Domus Aurea venne "restituito al popolo romano" dagli imperatori successivi. In circa un decennio la dimora neroniana venne spogliata dei suoi rivestimenti preziosi: i cantieri per le terme di Tito erano già avviati nel 79 d.C. Vespasiano utilizzò lo spazio in cui era stato scavato il lago artificiale per costruire l'Anfiteatro Flavio, col Colossus Neronis nei suoi pressi. Anche le terme di Traiano ed il Tempio di Venere e Roma risiedono nel terreno occupato dalla Domus. In quarant'anni, la Domus Aurea fu completamente obliterata, sepolta sotto nuove costruzioni, ma paradossalmente questo fece in modo che i 'grotteschi' dipinti potessero sopravvivere; la sabbia funzionò come le ceneri vulcaniche di Pompei, proteggendoli dal loro eterno nemico, l'umidità.
Quando un giovane romano cadde accidentalmente in una fessura sul versante del colle Oppio alla fine del XV secolo, si ritrovò in una strana grotta, piena di figure dipinte. Ben presto i giovani artisti romani presero a farsi calare su assi appese a corde per poter vedere loro stessi. Gli affreschi scoperti allora sono ormai sbiaditi in pallide macchie grigie sul gesso, ma l'effetto di queste decorazioni "grottesche," per l'appunto, furono elettrizzanti per l'intero Rinascimento. Quando il Pinturicchio, Raffaello e Michelangelo s'infilarono sotto terra e furono fatti scendere lungo dei pali per poter studiare queste immagini, ebbero una rivelazione di quel ch'era il vero mondo antico. Essi, ed altri artisti che, come Marco Palmezzano, lavoravano a Roma in quegli anni, si diedero a diffondere anche nel resto d'Italia tali "grottesche".
Accanto alle firme di illustri e successivi turisti incise sugli affreschi, quali quelle di Giacomo Casanova e del Marchese de Sade, distanti di pochi centimetri l'una dall'altra (British Archaeology, Giugno 1999), si possono leggere anche le firme di Domenico Ghirlandaio, Martin van Heemskerck, e Filippino Lippi [1].
L'effetto sugli artisti rinascimentali fu istantaneo e profondo: lo si può notare in maniera ovvia nella decorazione di Raffaello per le logge nel Vaticano. La scoperta, però, significò anche l'ingresso dell'umidità nelle sale, e questo avviò il processo di lento, inevitabile decadimento. Alla forte pioggia fu attribuito anche il crollo d'una parte del soffitto (Archaeology, Giugno/Luglio 2001).
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Pantheon
«Il più bel resto dell'antichità romana è senza dubbio il Pantheon. Questo tempio ha così poco sofferto, che ci appare come dovettero vederlo alla loro epoca i Romani»(ecco cosa ci mette in discussione con quelli d belle arti...per me restauro è questo!)
Il Pantheon è un edificio di Roma antica costruito in origine come tempio dedicato a tutti gli dèi, o meglio alle 7 divinità planetarie (Sole, Luna, Venere, Saturno, Giove, Mercurio, Marte). In testi più moderni troveremo soprattutto Marte e Venere.
I Romani lo chiamano amichevolmente la Ritonna ("la Rotonda"), da cui il nome della piazza antistante.
Sotto Adriano l'edificio venne interamente ricostruito. I bolli laterizi (marchi di fabbrica sui mattoni) appartengono agli anni 123-125 e si può ipotizzare che il tempio venne inaugurato dall'imperatore durante la sua permanenza nella capitale tra il 125 e il 128. Secondo alcuni il progetto, redatto subito dopo la distruzione dell'edificio precedente in epoca traianea, sarebbe attribuibile all'architetto Apollodoro di Damasco.
Rispetto all'edificio precedente fu invertito l'orientamento, con l'affaccio verso nord. Il grande pronao e la struttura di collegamento con la cella occupavano l'intero spazio del precedente tempio, mentre la rotonda venne costruita sopra la piazza augustea che divideva il Pantheon dalla basilica di Nettuno. Il tempio era preceduto da una piazza porticata su tre lati e pavimentata con lastre di travertino.
L'edificio è costituito da un pronao collegato ad un'ampia cella rotonda per mezzo di una struttura rettangolare intermedia.
Il pronao, ottastilo (con otto colonne in facciata) e con quattro colonne sui lati, misura 34,20 x 15,62 m ed era innalzato di m.1,32 sul livello della piazza, per cui vi si accedeva per mezzo di cinque gradini. L'altezza totale dell'ordine è di 14,15 m e i fusti hanno 1,48 m di diametro alla base.
Sulla facciata il fregio riporta l'iscrizione di Agrippa in lettere di bronzo, mentre una seconda iscrizione relativa ad un restauro sotto Settimio Severo fu più tardi incisa sull'architrave. Il frontone doveva essere decorato con figure in bronzo, fissate sul fondo con perni: dalla posizione dei fori rimasti si è ipotizzata la presenza di una grande aquila ad ali spiegate.
All'interno, due file di quattro colonne dividono lo spazio in tre navate: quella centrale più ampia conduce alla grande porta di accesso della cella, mentre le due laterali terminano su ampie nicchie che dovevano ospitare le statue di Augusto e di Agrippa qui trasferite dall'edificio augusteo.
I fusti delle colonne erano in granito grigio (in facciata) o rosso, provenienti dalle cave egiziane, ed anche i fusti dei porticati della piazza erano in granito grigio, sebbene di dimensioni inferiori. I capitelli corinzi, le basi e gli elementi della trabeazione erano in marmo bianco pentelico, proveniente dalla Grecia. L'ultima colonna del lato orientale del pronao, mancante già dal XV secolo fu rimpiazzata da un fusto in granito grigio sotto papa Alessandro VII e la colonna all'estremità orientale della facciata fu ugualmente sostituita sotto papa Urbano VIII con un fusto in granito rosso: l'originaria alternanza dei colori nelle colonne, dunque, risulta oggi alterata.
Il tetto a doppio spiovente è sorretto da capriate lignee, sostenute da muri in blocchi con archi poggianti sopra le file di colonne interne. Le originarie tegole in bronzo e la volta in bronzo appesa alle strutture di copertura, che le copriva alla vista dallo spazio interno, sono oggi scomparse ad opera di papa Urbano VIII che le fece fondere per costruire 110 cannoni per Castel Sant'Angelo.
Il pronao è pavimentato in lastre di marmi colorati che si dispongono secondo un disegno geometrico di cerchi e quadrati
«Volli che questo santuario di tutti gli dei rappresentasse il globo terrestre e la sfera celeste, un globo entro il quale sono racchiusi i semi del fuoco eterno, tutti contenuti nella sfera cava»
(Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano)
Lo spazio interno della cella rotonda è costituito da un cilindro coperto da una semisfera. Il cilindro ha altezza uguale al raggio (21,72 m) e l'altezza totale dell'interno è uguale al diametro (43,44 m).
Al livello inferiore si aprono otto ampie esedre, a pianta alternativamente rettangolare (in realtà trapezoidale) e semicircolare, una delle quali è utilizzata per l'ingresso. Questo primo livello è inquadrato da un ordine architettonico con colonne in corrispondenza dell'apertura delle esedre e lesene nei tratti di muro intermedi, che sorreggono una trabeazione continua. Solo l'abside opposta all'ingresso è invece fiancheggiata da due colonne sporgenti dalla parete, con la trabeazione che gira all'interno come imposta della semicupola di copertura. Tra le lesene, negli spazi tra le esedre, sono presenti piccole edicole su alto basamento, con frontoncini alternativamente triangolari e curvilinei. Le pareti sono rivestite da lastre di marmi colorati
Un secondo livello aveva un ordine di lesene in porfido che inquadravano finte finestre e un rivestimento in lastre di marmi colorati. La decorazione romana originale fu sostituita da quella attualmente visibile, realizzata nel XVIII secolo (probabilmente negli anni 1747-1752). Nel settore sud-occidentale una parte dell'originario aspetto romano di questo livello fu restaurata successivamente, ma in modo non del tutto preciso.
Il pavimento della rotonda è leggermente convesso, con la parte più alta (spostata di circa 2 m verso nord-ovest rispetto al centro) sopraelevata di circa 30 cm, per far si che la pioggia che scende all'interno del tempio attraverso l'oculo posto sulla cima della cupola, defluisca verso dei canali di scolo posti sul perimetro della rotonda. Il rivestimento è in lastre con un disegno di quadrati in cui sono iscritti alternativamente cerchi o quadrati più piccoli.
L'attuale porta in bronzo, di proporzioni diverse da quelle dell'apertura, proviene da un altro antico edificio.
La cupola è decorata all'interno da cinque file di ventotto cassettoni, di misura decrescente verso l'alto, e presenta al centro un oculo di 8,92 m di diametro. L'oculo doveva essere circondato da una cornice bronzea fissata alla cupola che forse raggiungeva la fila più alta di cassettoni. Numerose cavità presenti nel cementizio permettono di ipotizzare che anche i cassettoni e gli spazi intermedi tra essi fossero rivestiti in bronzo.
All'esterno la cupola è nascosta inferiormente da una sopraelevazione del muro della rotonda (per 8,40 m), ed è quindi articolata in sette anelli sovrapposti, l'inferiore dei quali conserva tuttora il rivestimento in lastre di marmo. La parte restante era coperta da tegole in bronzo dorato, asportate dall'imperatore Costanzo II, ad eccezione di quelle che circondavano l'oculo, tuttora in situ. Lo spessore della muratura diminuisce verso l'alto (da 5,90 m inferiormente a 1,50 m in corrispondenza della parte intorno all'oculo centrale). Inoltre, all'interno della muratura sono stati usati diversi tipi di laterizi sempre più leggeri via via che si procede verso l'alto (nella parte culminante ci sono addirittura delle leggerissime pomici). Questi accorgimenti hanno permesso il bilanciamento del peso della cupola e sono il segreto della sua straordinaria durata (vedi anche la sezione seguente).
La cupola poggia sopra uno spesso anello di muratura in opera laterizia (cementizio con paramento in mattoni), sul quale si trovano aperture su tre livelli (segnalati all'esterno dalle cornici marcapiano). Queste aperture, in parte utilizzate a fini estetici, come le esedre dell'interno, in parte spazi vuoti con funzioni prevalentemente strutturali, compongono una struttura di sostegno articolata, inglobata nell'anello continuo che appare alla vista. Sulla parete esterna della rotonda è ora visibile dopo la scomparsa dell'intonaco di rivestimento, la complessa articolazione degli archi di scarico in bipedali (mattoni quadrati di due piedi di lato) inseriti nella muratura da parte a parte, che scaricano il peso della cupola sui punti di maggior resistenza dell'anello, alleggerendo il peso in corrispondenza dei vuoti.
La particolare tecnica di composizione del cementizio romano permette alla cupola priva di rinforzi di restare in piedi da quasi venti secoli. Una cupola di queste dimensioni sarebbe infatti difficilmente edificabile con le moderne tecnologie, data la poca resistenza alla tensione del cemento moderno. Il fattore determinante sembra essere una particolare tecnica di costruzione: il cementizio veniva aggiunto in piccole quantità drenando subito l'acqua in eccesso. Questo, eliminando in tutto o in parte le bolle d'aria che normalmente si formano con l'asciugatura, conferisce al materiale una resistenza eccezionale. Inoltre venivano utilizzati materiali via via più leggeri per i caementa mescolati alla malta per formare il cementizio: dal travertino delle fondazioni alla pomice vulcanica della cupola.
L'inserzione di un'ampia sala rotonda alle spalle del pronao di un tempio classico rappresenta una novità nell'architettura romana. Il modello dello spazio circolare e coperto a cupola è ripreso da quello delle grandi sale termali che già erano state realizzate in quest'epoca, ma è interamente nuovo il suo utilizzo per un edificio templare. L'effetto di sorpresa nel varcare la porta della cella doveva essere notevole e sembra caratteristico dell'architettura di epoca adrianea, ritrovandosi anche in molte parti della sua villa privata a Tivoli.
Un ulteriore elemento di novità era l'introduzione di fusti monolitici lisci di marmo colorato per le colonne di un tempio, al posto dei tradizionali fusti scanalati in marmo bianco.
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stonehenge
Stonehenge (pietra sospesa, da stone, pietra, ed henge, che deriva da hanging, sospendere: in riferimento agli architravi) è un sito Neolitico che si trova vicino ad Amesbury nello Wiltshire, Inghilterra, circa 13 chilometri a nord-ovest di Salisbury sulla piana omonima. È composto da un insieme circolare di grosse pietre erette, conosciute come megaliti. C'è dibattito circa l'età della costruzione, ma la maggior parte degli archeologi ritiene sia stato costruito tra il 2500 AC e il 2000 AC. L'edificazione del terrapieno circolare e del fossato sono state datate al 3100 AC.
Si deve notare che dall'inizio del XIX secolo molte pietre sono cadute, e sono state rimesse nella loro posizione attuale dagli ingegneri Vittoriani. Se non altro, questo significa che Stonehenge non è così immutabile come certa pubblicità turistica suggerisce.
Il sito è stato aggiunto alla lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel 1986. È simile al cerchio di pietre della Scozia settentrionale, conosciuto come Anello di Brodgar. Un sito circolare simile, posto in cima a una collina nella Sassonia-Anhalt in Germania, fu il luogo di ritrovamento del Disco di Nebra, attualmente datato attorno al 1600 AC.
Le pietre di Stonehenge sono allineate con un significato particolare ai punti di solstizio ed equinozio. Come conseguenza, alcuni sostengono che Stonehenge rappresenta un "antico osservatorio", anche se l'importanza del suo uso per tale scopo è disputata.
Stonehenge è associato con la leggenda di Re Artù. Goffredo di Monmouth disse che il mago Merlino diresse la sua rimozione dall'Irlanda, dove era stato costruito sul Monte Killaraus, da Giganti che portarono le pietre dall'Africa. Dopo essere stato ricostruito vicino ad Amesbury, Goffredo narra come, prima Uther Pendragon, e poi Costantino III, vennero seppelliti all'interno dell'anello di pietre. In molti punti della sua Historia Regum Britanniae Goffredo mischia la leggenda britannica con la sua immaginazione; è intrigante il fatto che colleghi Ambrosio Aureliano con questo monumento preistorico, portando come prova la connessione tra "Ambrosius" e la vicina "Amesbury".
Stonehenge rimane un luogo di pellegrinaggio per i neo-druidi e i seguaci di credenze pagane o neo-pagane, e fu il luogo di un festival musicale libero tra il 1972 e il 1984. Comunque, nel 1985 il festival fu bandito dal governo britannico a causa del violento confronto tra la polizia e alcuni partecipanti che divenne noto come la Battaglia di Beanfield.
In anni più recenti, il sito di Stonehenge, sulla Piana di Salisbury è stato influenzato dalla prossimità della strada A303, tra Amesbury e Stoke, e dalla A344. Nel passato, un numero di progetti, compresi dei tunnel interrati, sono stati proposti per il sito, e l'English Heritage e il National Trust hanno fatto lunghe campagne per allontanare il percorso delle strade. All'inizio del 2003 il Dipartimento per i Trasporti ha presentato un numero di progetti per l'allargamento di strade, compresa la A303. Il 5 giugno la Highways Agency ha pubblicato un piano di massima per il cambiamento di 13 chilometri di strada a Stonehenge, compreso un tunnel di 2 chilometri che porterebbe la A303 sotto l'attuale tracciato. Il 4 settembre 2003 la Highways Agency ha annunciato una inchiesta pubblica, apertasi il 17 settembre, per valutare se i piani sono adeguati. Molte organizzazioni chiedono un tunnel più lungo che protegga di più il sito archeologico e la campagna circostante. I progetti per il sito comprendono un nuovo centro che dovrebbe aprire nel 2006. Per il 2008 il nuovo schema di strade dovrebbe essere completato e le vecchie vie chiuse.
Legenda:
1) La pietra dell'altare (vedi sotto)
2) Tumulo senza sepoltura
3) Tumulo senza sepoltura
4) La pietra del Sacrificio, lunga 4,9 m
5) La pietra del tallone (vedi sotto)
6) Due delle quattro originarie Pietre della Stazione
7) Sponda interna
8) Fossato
9) Sponda esterna
10) Il viale, una coppia di fossati e sponde paralleli che portano al fiume Avon a 3km
11) Anello di 30 fosse chiamato i buchi Y
12) Anello di 30 fosse chiamato i buchi Z
13) Cerchio di 56 fosse, conosciuto come i buchi di Aubrey
14) Piccola entrata meridionale
La pietra dell'altare: un blocco di 5 metri di arenaria verde. Le pietre principali sono tutte fatte da una forma estremamente dura di arenaria silicea, che si trova naturalmente circa 30 chilometri più a nord, sulle Marlborough Downs. La struttura interna, conosciuta come "Bluestone Horseshoe" è costituita di pietre molto più piccole, che pesano in media 4 tonnellate. Queste sono pietre che sono state estratte dalle Montagne Preseli, nel Galles sud-occidentale. Sono principalmente di dolorite (n.d.t. non certo della traduzione) ma comprendono esempi di riolite, arenaria e ceneri calcaree vulcaniche.
La pietra del tallone un tempo conosciuta come Tallone del Frate(in inglese "Friar's Heel", un anglicizzazione del gallese "Ffreya sul", da Ffreya, dea celtica della fertilità, e sul, giorno del sole). Un racconto popolare, che non può essere datato a prima del XVII secolo, spiega così le origini del nome di questa pietra.
Il diavolo comprò le pietre da una donna in Irlanda, le avvolse e le portò sulla piana di Salisbury. Una delle pietre cadde nel fiume Avon, le altre vennero portate sulla piana. Il diavolo allora gridò, "Nessuno scoprirà mai come queste pietre sono arrivate fin qui". Un frate rispose, "Questo è ciò che credi!", allora il diavolo lanciò una delle pietre contro il frate e lo colpi su un tallone. La pietra si incastrò nel terreno, ed è ancora li.
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Moai
I Moai sono statue che si trovano sull'Isola di Pasqua. Nella maggior parte dei casi si tratta di statue monolitiche, cioè ricavate e scavate da un'unico blocco di tufo vulcanico; alcune possiedono sulla testa un tozzo cilindro (pukau) ricavato da un altro tipo di tufo di colore rossastro, interpretato come un copricapo oppure come l'acconciatura un tempo diffusa tra i maschi.
Ci sono più di 600 Moai conosciuti sulla superficie dell'isola. La quasi totalità di questi sono stati ricavati da un tufo basaltico del cratere Rano Raraku, dove si trovano quasi 400 statue incomplete. Questa roccia a grana eterogenea è relativamente tenera, a differenza del basalto, che deriva dalla solidificazione di un magma. I cappelli sono invece stati ricavati da un tufo rossastro proveniente dal piccolo cratere di Puna Pau, distante circa 10 chilometri da Rano Raraku.
La cava di Rano Raraku sembra essere stata abbandonata all'improvviso, con alcune statue lasciate ancora incomplete nella roccia. Tra queste vi è la statua più grande, lunga 21 metri. Praticamente tutti i moai completati furono probabilmente abbattuti dagli indigeni qualche tempo dopo il periodo della costruzione, ma anche i terremoti potrebbero aver contribuito al ribaltamento delle statue.
Sebbene vengano spesso identificati con le teste, molti dei moai hanno spalle, braccia, torsi, che sono stati piano piano, negli anni, sotterrati dalla terra circostante. Il significato degli moai è ancora oggi poco chiaro e esistono ancora molte teorie a proposito.
La teoria più comune è che le statue siano state scolpite dai polinesiani abitanti intorno al 1000 Avanti Cristo. Si ritiene che siano le rappresentazioni degli antenati defunti o di importanti personaggi della comunità, a cui vengono dedicate questi gesti di riconoscenza. I Moai sono stati probabilmente artefatti molto costosi; non solo la scultura di ogni statua avrebbe richiesto anni di lavoro, ma avrebbero dovuto anche essere trasportate per tutta l'isola fino alla loro posizione finale. Non si sa esattamente come i moai siano stati spostati, ma quasi certamente il processo ha richiesto slitte e/o rulli di legno. Si pensa che la domanda di legno necessaria a supportare la continua erezione di statue abbia portato al totale disboscamento dell'isola. Questo spiegherebbe perché la cava sia stata abbandonata all'improvviso.
Le antiche leggende dell'isola parlano di un capo clan in cerca di una nuova casa. Il posto che scelse è quella che noi oggi conosciamo come Isola di Pasqua. Alla sua morte, l'isola venne divisa tra i suoi figli. Ogniqualvolta un capo di uno dei clan moriva, un moai veniva posto sulla tomba dei capi. Gli isolani credevano che queste statue avrebbero catturato i "mana" (poteri soprannaturali) del capo. Credevano che mantenendo i mana dei capi sull'isola, si sarebbero verificati eventi propizi, sarebbe caduta la pioggia e le coltivazioni sarebbero cresciute. Questa leggenda potrebbe essere cambiata rispetto all'originale, dal momento che si è tramandata oralmente per lungo tempo. Qualsiasi cosa potrebbe essere stata aggiunta a questa leggenda per renderla più interessante.